Per onorare la festa della Repubblica, nei giorni dal 30 maggio al 02 giugno 2009, la sezione ANPI di Spoleto intitolata a Probo Martinelli, combattente della guerra di Spagna, e la sezione dell’ANPI di Sant’Andrea - Standrez in provincia di Gorizia, hanno organizzato un gemellaggio ricordando i partigiani jugoslavi, sloveni e umbri che hanno combattuto con gli umbri sulle montagne della Val Nerina.
Per l’occasione sono arrivati in visita a Spoleto circa 45 membri dell’Anpi di Sant’Andrea e del circolo culturale sloveno Oton Zupancic di Sant’Andrea - Gorizia che ha collaborato all’evento.
Sono state apposte varie corone, tra le quali una nella Rocca Albornaz a Spoleto, dalla quale evasero alcuni prigionieri come primo atto della Resistenza spoletina, a Forca di Cerro nel luogo della fucilazione di 19 partigiani jugoslavi e a Norcia, presso la targa che ricorda la partigiana, medaglia d’argento al valor militare, Rosa Marucci di Norcia ed e’ stato visitato il luogo a Castelluccio di Norcia dove venne ucciso Paolo Schiavetti Arcangeli, medaglia d’oro al valor militare.
Il gemellaggio ha avuto il suo apice nel cinema-teatro di Arrone con il concerto del gruppo vocale maschile Sraka che fa parte del circolo culturale Zupancic. Patrocinato dal comune e’ stato un momento di ricordo e di conoscenza reciproca oltre che ad un momento di arte canora, durante il quale sono intervenuti con dei brevi racconti di memorie il presidente dell’ANPI di Spoleto, il sig. Gianpaolo Loreti e la presidente dell’ANPI di S.Andrea , il Cavaliere della Repubblica Vilma Braini. Il circolo Zupancic che prende il nome da un poeta sloveno, nasce dopo anni di terrore e di persecuzioni nel 1945, subito dopo la liberazione alla fine della seconda guerra mondiale, a Sant’Andrea, in provincia di Gorizia, in un territorio finalmente libero e sicuramente in un periodo di rinascita dopo tanto dolore.
Sin dalla sua fondazione, l’obbiettivo del circolo, è quello di preservare, valorizzare e di far conoscere la cultura e la storia della minoranza slovena, della sua lingua, dei suoi usi e dei suoi costumi Tra le varie attività, spicca sicuramente quella canora, molto amata dal popolo sloveno e dalla quale nasce anche il gruppo vocale maschile Sraka che si compone di circa 16 coristi tra i 30 e i 40 anni e che e’ diretto dal maestro Bogdan Kralj di Trieste.
I rappresentanti del circolo hanno ricordato che fino alla fine della prima guerra mondiale, 1918, la loro era una terra multiculturale, dove convivevano tutti i popoli dell’impero austroungarico. Con l’avvento del fascismo fu proibito l’uso della loro lingua madre, lo sloveno, le scuole slovene vennero abolite e molte persone vennero allontanate dai loro posti di lavoro per italianizzare anche questa terra. Poi arrivò l’invasore nazista.
Gli operai e gli intellettuali rimasti, erano contrari al regime, e nacque così anche a Sant’Andrea e a Gorizia, la Resistenza.
A Sant’Andrea furono molti gli uomini e le donne che si mobilitarono e raggiunsero le formazioni partigiane nei boschi e nelle montagne della zona. Nel paese rimasero per lo più bambini e anziani che lavoravano di nascosto per procurare ai partigiani vestiario, medicinali e tutto il necessario per la loro sopravvivenza. Tra questi anche la signora Braini che all’epoca era una giovinetta di appena 16 anni, che dopo essere stata arrestata a seguito di una spiata, interrogata e torturata, fu deportata con l’ultimo trasporto partito dal Friuli Venezia Giulia fino al campo di concentramento di Bergen Belsen dal quale tornò nell’agosto del 1945.
Il concerto, al quale era presente anche una delegazione dell’ANPI di Terni, si e’ concluso con il saluto del sindaco del comune di Arrone e con i ringraziamenti a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del gemellaggio, il sig. Filippo Schiavetti Arcangeli, il sig. Giovanni Simoncelli, l’ANPI di Spoleto, di Terni e di Gorizia, con un ringraziamento particolare al sig. Loreti Alberto che da anni vive a Gorizia ma che e’ originario di Spoleto e che ha dato l’avvio e l’idea per questo evento importante per la nostra memoria.
Sant’Andrea - Standrez, 10 giugno 2009
giovedì 23 luglio 2009
Il rischio di un'altra storia
Si è affermata negli ultimi decenni una tendenza, che è politica, ideologica e anche storiografica, a riscrivere la storia dell'Italia con¬temporanea; numerosi sono stati i volumi editi che già nel titolo sottolineano questa volontà: l'altro Risorgimento, l'altra Resistenza, per ricor¬dare due degli eventi sui quali maggiormente si è concentrata l'attività di revisione storica. Un'altra storia, dunque, che spesso ha contribui¬to a portare alla luce verità lungamente negate ma altrettanto sovente ha messo in campo un uso politico della storia, fina¬lizzato a favorire un mutamento dell'im¬maginario storico e culturale dell'opinio¬ne pubblica. Tutto questo collocato sullo scenario presente, che sembra assegnare agli studi storici una sfida molto precisa: la trasformabilità della memoria e della storia in mercé dell'industria culturale. Siamo di fronte, infatti, a un mutamento di ordine, innanzitutto economico, che imprime un carattere bulimico e compulsorio a quello che noi chiamiamo “re¬visionismo”. Le verità acclarate e gene¬ralmente accertate e accertate, in sede storica, sono merci che diventano rapida¬mente obsolete nel mercato culturale. Non si vendono facilmente, anzi non si vendono più: occorre perciò manipolar¬le, renderle nuove, sensazionali, per tro¬var loro nuovi compratori. In questo sen¬so, un caso emblematico è rappresentato dai volumi di Giampaolo Pansa che con la sua scrittura suadente, con la sua chia¬rezza espositiva e un uso onesto delle fonti, è riuscito a portare al grande pub¬blico fatti che da sempre gli storici spe¬cialistici conoscevano, ma che la storio¬grafia ufficiale aveva omesso. Così il “giornalista-storico revisionista” è stato capace di rompere il silenzio, di riporta¬re alla ribalta dolori e sofferenze seppelli¬te e dimenticate, elevandosi al ruolo di vendicatore. Anche in Umbria, un certo autoritarismo culturale, ha fatto sì che, relativamente alla Resistenza e al ruolo dei partigiani, per lungo tempo, abbia prevalso una ricostruzione unilaterale, che ha privilegiato il mito rispetto alla storia. Convenienza e retorica hanno a volte sotterrato, insieme ai cadaveri, mol¬te scomode verità. Oggi, per fortuna, le cose sono diverse e tutta una serie di pubblicazioni, portate avanti anche dal¬l'Istituto per la storia dell'Umbria con¬temporanea, stanno mettendo in chiaro il ruolo militare della Resistenza, la composizione delle bande partigiane e l'apporto problematico degli slavi, fuggiti do¬po l'8 settembre 1943 dai campi di inter¬namento, come quello di Colfiorito, gli eccessi di alcune frange della lotta clan¬destina nei confronti della popolazione civile e dei fascisti repubblichini. Ora, affermato che il male è qualcosa di uma¬no che prescinde dagli schieramenti po¬stumi, il rischio concreto di chi si accinge, anche animato da serie intenzioni di “revisione”, a scrivere “un'altra storia” è quello alla fine di accomunare fascismo e antifascismo, considerandoli come op¬posti eccessi. Il risultato finale di tale operazione dì riscrittura è quello di aval¬lare un'interpretazione storica pacificatrice, per cui il carattere autentico del¬l'identità nazionale sarebbe rappresenta¬to da quella parte maggiore del popolo italiano che avrebbe assistito da estra¬neo, o con atteggiamenti di puro soccor¬so umanitario, agli eventi, in attesa del loro sviluppo. Secondo questa visione i combattenti sui due fronti, fascista e anti¬fascista, rappresenterebbero una devia¬zione estranea alla nostra tradizione, che resta essenzialmente moderata, ostile agli eccessi, aperta a ogni aggiustamento e garantita dalla presenza stabilizzatrice di istituzioni secolari, come la Chiesa. All'antifascismo, alla Resistenza, quali fattori costitutivi delle istituzioni e della vita repubblicana, verrebbe così a sosti¬tuirsi la categoria dell'attendismo, virtù di saggezza pratica, invece che vizio di apatia, molto più conforme al genio proprio degli italiani, che sempre tra gli opposti eccessi hanno preferito procede¬re diritti. Certamente oggi l'idea di una guerra civile obbligatoria spaventa, ma allora era dettata dall'indignazione mora¬le; basta leggere, per esempio, le lettere dei condannanti a morte della Resisten¬za. Da esse emerge un'altra Italia. Un Paese di uomini e donne appartenenti a tutte le età e a ogni classe sociale, consa¬pevoli del dovere della libertà e del prez¬zo che essa in momenti estremi compor¬ta. Del resto, già nel 1947, uno dei più grandi scrittori del Novecento, Italo Calvino, nel suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, nel quale racconta pro¬babilmente la sua esperienza di venten¬ne che per sfuggire alla leva della Repub¬blica di Salo, insieme al fratello, sale in montagna ed entra nella seconda divisio¬ne d'assalto “Garibaldi”, rinuncia a qualsiasi tentazione di rappresentazione cele¬brativa e trionfalistica della Resistenza. I suoi protagonisti sono individui “margi¬nali”, talvolta “irregolari” e tutt'altro che contraddistinti da una “coscienza di clas¬se” o da una definita “coscienza politica”. Per Calvino, la Resistenza diventa una sottile linea di confine, lungo la qua¬le scegliere di stare di qua o di là e la scelta non risponde a un processo chia¬ro, razionale; entrarono in gioco, nel¬l'una e nell'altra parte, sentimenti simi¬li: ci voleva nulla per trovarsi da una parte o dall'altra, scrive Calvino. Allora nasce il problema: cosa distingue, nono¬stante l'affinità eventuale, gli uni dagli altri e rende la valutazione drasticamen¬te e insuperabilmente contrapposta? A dividere gli uni dagli altri c'è “la storia”, che dà un senso giusto, positivo, alla furia degli uni e ricaccia gli altri dalla parte sbagliata di coloro che volevano riprodurre l'oppressione e la schiavitù. Se si dimentica questo si perde il senso della storia, che non può essere ridotta ad una somma di casi individuali, ognu¬no preso per sé e tutti giustificabili. Il senso della storia è che ai partigiani dob¬biamo quello che non avevamo: libertà e giustizia, mentre se avessero avuto ragio¬ne gli altri ce ne avrebbero ancora più brutalmente privato. Se la distinzione tra le due posizioni non è mantenuta si scrive un'altra storia, ma si legge male la storia del passato.
Mario Tosti
Presidente Istituto per la Storia dell’Umbria contemporanea
Mario Tosti
Presidente Istituto per la Storia dell’Umbria contemporanea
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mercoledì 22 luglio 2009
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