sabato 22 novembre 2008

Ad Orvieto apposta una targa a ricordo di Giovanni Ciuco





Queste sono le foto dell'apposizione in via postierla ad orvieto della targa alla memoria di Giovanni Ciuco, in occasione dell' 87° anniversario dell’assassinio per mano fascista.

Alla cerimonia hanno partecipato i familiari, il Sindaco Stefano MOCIO, il Vescovo di Orvieto, rappresentanti dell'ANPI, l'on Carlo Emanuele Trappolini, molti amministratori comunale e cittadini.

lunedì 17 novembre 2008

I Ragazzi del'A.N.P.I.




da sito http://fgiuffrida.blogspot.com/ diFilippo Giuffrida


La pasta si sta raffreddando, ma non importa.
Sto ascoltando Lucifero, Partigiano combattente, raccontare della sua emozione al mausoleo di Stalingrado. Alla mia destra due insegnanti siciliani mi parlano dei loro allievi e dell'impegno nelle scuole per parlare di Resistenze (plurale) ed Antifascismo. Dall'altra parte del tavolo un arzillo ottantepassaenne accetta un po' di vino rosso, "ma solo qualche bicchiere, perchè voglio intervenire oggi pomeriggio". E' di Messina - o di Trapani? chissà... - e ha fatto il Partigiano a Cuneo - o era in Val d'Ossola? Loro sono lucidissimi, io comincio, ed è solo il primo giorno di Consiglio Nazionale dell'ANPI, ad essere sopraffatto dalle emozioni e dal contenuto degli interventi.
E' incredibile come un processo cominciato solo qualche anno fa, nell'incontro di Reggio Emilia con i Giovani, abbia oggi portato l'ANPI a questo livello d'interazione tra Partigiani combattenti ed Antifascisti, quelli che - per ragioni anagrafiche - non hanno partecipato alla lotta di Liberazione. Ci sono tanti, tanti "ragazzi". E' vero che si è "Giovani dell'ANPI" anche a 70 anni, ma qui a Cervia i ventenni, trentenni e - perchénno - anche i quarantenni sono davvero molti. Loro, "i Vecchi", come dice una ragazza dal palco subito correggendosi in "gli Anziani", tra gli applausi ed i sorrisi, corrono. Noi, i Giovani, arranchiamo.
E' un susseguirsi d'interventi che testimoniano essenzialmente tre stati d'animo. In primo luogo la voglia di fare, di agire più che reagire. Se dovessi leggere in filigrana, cercando per forza la critica velata, potrei forse trovare il rimprovero di non essere abbastanza "pronti". In un sistema di just in time molti vorrebbero essere più sul territorio. Si parla della situazione della provincia e della città di Lucca, dei manifesti sui muri di Roma e della manifestazione antifascista di Colonia. Ma anche - locuzione interiettiva che pare di moda - dei rapporti con gli studenti , con i Centri Sociali.
Il secondo sentimento condiviso è quello sul ruolo dell'ANPI. Come se ancora fosse necessario, in molti ricordiamo che l'Associazione Partigiani d'Italia non è un partito, come sottolinea anche la relazione della presidenza, ma è il collante, il catalizzatore di tutti quei Democratici, quegli Antifascisti di Sinistra, Centrosinistra e Centro che si riconoscono in valori comuni, e che possono agire mettendo da parte le identità politiche personali all'interno di un quadro più ampio e meglio definito.
Il terzo soggetto che ha occupato molti interventi è quello della festa. La Prima Festa nazionale dell'ANPI, del giugno scorso, è una sorta di spartiacque. Se prima avevamo avuto l'impressione che i "Giovani" contassero e partecipassero, oggi ne abbiamo la certezza. Si parla molto della seconda festa. Del quando, del dove, del come. E' un turbinio di conciliaboli, di riunioni estemporanee attorno ad un caffé o con la scusa della pausa sigaretta. Si riparla d'Europa, di rapporti con le altre organizzazioni antifasciste, di organizzazione. E' un coacervo di proposte che s'intrecciano con ragionamenti manageriali, sui costi, le locations, le relazioni istituzionali. Qualcuno parte per cercare una chitarra e torna con un bicchiere di cognac. Non suona, ma dopo 17 ore di concentrazione aiuta comunque...
La storia ufficiale narra poi dell'omaggio all'indimenticabile Comandante Bulow, dei molti Ordini del Giorno discussi e votati, anche con momenti di serrato confronto dialettico. Del Documento finale e delle Commissioni e gruppi di lavoro. Ma il Consiglio Nazionale di Cervia è stato anche, se non soprattutto, un entusiasmante momento di scambio d'esperienze, di dialoghi intergenerazionali, di rapporti umani.

Lascio Cervia alle 15.00 di domenica per arrivare a casa alle 23.45 (grazie Alitalia...) Sono stanco, non ho cenato (rigrazie...) e lo stomaco - capiente - borbotta un po'. Ma è tanta la soddisfazione, la voglia di prendere sulle ginocchia mia figlia - Staffettina, come ormai tutti la chiamano all'ANPI - e raccontarle che i Buoni continuano a combattere contro i Cattivi, che la guerra è perfortuna finita ma la guardia non si allenta.
La Resistenza continua, Grazie Ragazzi!

martedì 11 novembre 2008

11 novembre 2008: 87° anniversario dell’assassinio di Giovanni Ciuco per mano fascista

da www.orvietonews.it

Una targa alla memoria per onorarne il ricordo

L'11 novembre di 87 anni fa, in Via Postierla, il giovane concittadino orvietano Giovanni Ciuco, 25enne, venne assassinato per mano fascista. Oggi,nell'87° anniversario dell'assassinio, la Giunta Comunale di Orvieto ha deliberato che quella triste pagina di storia locale venga ricordata con l'apposizione di una targa alla memoria sul luogo in cui avvenne l'uccisione.

"L'11 novembre 1921 – è scritto nella delibera - un gruppo di fascisti scesi alla stazione ferroviaria di Orvieto salirono in città, passando per le tre vie che da Piazza Cahen conducono in centro, con lo scopo di seminare violenza e terrore. Il gruppo di essi che si incamminò per via Postierla, fermò un camioncino guidato dal cittadino orvietano Giovanni Ciuco, di 25 anni e di professione contadino. Il gruppo di fascisti, dopo una perquisizione, trovò indosso al giovane una ricevuta di pagamento di un tessera agraria. Questo fatto scatenò l'ira dei fascisti che, dopo averlo torturato ed indotto a bere olio di ricino, lo uccisero con un colpo di pistola alla nuca. Giovanni Ciuco lasciava la moglie, un figlio di 14 mesi ed un altro in arrivo".

"Tenuto conto – prosegue l'atto amministrativo - che questa vicenda non ha mai visto puniti i responsabili né durante il ventennio fascista né dopo la seconda guerra mondiale quando, nel 1946, venne presentata denuncia presso la Procura di Perugia conclusasi con l'archiviazione del caso; valutato che il fatto è accaduto quando il fascismo non era ancora giunto al potere (la marcia su Roma avvenne il 22 ottobre 1922), ma già si manifestava in tutta Italia il fenomeno dello ‘squadrismo' in cui squadre di fascisti utilizzavano l'arma del terrore e della violenza per arrivare al potere, in considerazione di ciò si può affermare che Giovanni Ciuco fu il primo martire orvietano ucciso per mano di balordi fascisti, e che per la tragica circostanza in cui si sono svolti i fatti, si può elevare Giovanni Ciuco a simbolo di tutti coloro che nel silenzio e nell'anonimato dovuti a fattori diversi sono stati uccisi per mano fascista. La Giunta Comunale ritiene opportuno onorare il ricordo di Giovanni Ciuco ucciso senza nessun motivo, attraverso l'apposizione di una targa commemorativa nel punto in cui avvenne il tragico evento, affinché il ricordo di questo fatto non vada dimenticato ma anzi resti vivo come monito per le future generazioni".

La targa commemorativa che verrà apposta sul muro esterno dei giardini pubblici di Via Postierla, di fronte agli attuali uffici dell'ASL - luogo dove avvenne l'uccisione di Giovanni Ciuco - verrà collocata Sabato 22 Novembre 2008 alle ore 11,30. In essa si legge: "in questo luogo Giovanni Ciuco venne barbaramente ucciso per cieca via di parte l'11 novembre 1921. In memoria sua e di quanti caduti per mano fascista l'Amministrazione Comunale pose. 11 novembre 2008".

Alla cerimonia di apposizione della targa sono invitati il Consiglio Comunale, i rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni, le diverse espressioni della società civile, i cittadini.
omune di Orvieto

lunedì 10 novembre 2008

Camorena un episodio di guerra civile - di Alberto Stramaccioni

dal gruppo ANPI di Face Book

Camorena un episodio di guerra civile
“Sette antifascisti fucilati dalla guardia nazionale repubblicana nel marzo 1944”

Molto spesso quando ci si riferisce agli eventi accaduti tra il 1943 e il 1945, per ricordare la guerra di liberazione nazionale dall’occupante nazista, si parla anche di una “guerra civile” che ci sarebbe stata tra italiani fascisti e italiani antifascisti. Ma altrettanto spesso non si ha ben chiaro che cosa sia realmente accaduto in quei lunghi e tragici mesi. La vicenda di Camorena di Orvieto dove, il 29 marzo del 1944, vengono fucilati sette antifascisti da un gruppo di soldati della Repubblica Sociale italiana di Benito Mussolini, è un classico esempio della guerra civile tra italiani.
Fino ad oggi questa vicenda non è stata sufficientemente approfondita nelle sue effettive dinamiche militari, politiche e sociali. Sette appartenenti alla cosiddetta “banda partigiana Stornelli” vennero arrestati e poi rapidamente processati e successivamente fucilati senza aver ucciso nessun soldato, né tedesco, né della Repubblica sociale italiana. E in più di fronte alla volontà tedesca di non procedere alla fucilazione, dopo il processo furono proprio i rappresentanti del fascio locale a volerne l’esecuzione capitale. Una vicenda che si può ben ricostruire solo nel clima di quei mesi e in una città in cui l’odio e il conflitto tra i tanti aderenti al fascio locale e i pochi antifascisti, o comunisti, o semplici renitenti alla leva raggiunse i livelli più esasperati.
La “banda Stornelli” che prendeva il nome dal suo comandante Ulderico, di 39 anni, già soldato in Libia, ma renitente perché richiamato al servizio militare dalla Rsi e di orientamento politico comunista, fu costituita nel dicembre ’43 e aveva la sua base operativa in una caverna vicino a Sermugnano, mentre del gruppo facevano parte alcuni uomini che volevano in particolare evitare la leva nell’esercito fascista. In quei mesi anche quella zona era occupata dai soldati tedeschi in ritirata e tra Baschi e Castiglione in Teverina i cannoni antiaerei avevano abbattuto alcuni quadrimotori dell’esercito angloamericano, mentre la maggior parte dei membri dell’equipaggio si era lanciata col paracadute ed era stata accolta, curata e alimentata dal gruppo di Stornelli. Inoltre alcuni soldati alleati con i quali il gruppo Stornelli prendeva contatto, venivano affidati alle diverse famiglie dei contadini della zona che li nascondevano.
L’attività di questo gruppo antifascista e antinazista era ben nota nella città di Orvieto dove in particolare viveva la famiglia Stornelli composta dalla moglie Arnalda Faustini e da tre figli, due femmine di 8 e 9 anni e un maschio di 14. Ulderico Stornelli era un falegname ebanista molto conosciuto nel paese e particolarmente osteggiato dai fascisti locali, che, pur di catturare lui e gli altri aderenti non mancarono di ricattare uno dei componenti del gruppo partigiano, Giovanni Nannarelli. Quest’ultimo prima venne costretto a tornare a casa attraverso le minacce alla madre di togliergli le tessere annonarie e poi lo costrinsero a rivelare la sede del nascondiglio della banda. Il gruppo Stornelli venne così arrestato e condotto a Palazzo Valentini, ad Orvieto, sede del Comando militare tedesco per il processo, nel corso del quale fu proprio il Nannarelli uno dei principali accusatori.
Dopo la cattura del gruppo Stornelli venne arrestato anche Federico Cialfi un proprietario terriero non più giovanissimo, considerato il sovvenzionatore della banda partigiana. A questo punto della vicenda nel contesto di una città occupata dai tedeschi e con una forte presenza della Guardia nazionale repubblicana fascista si consumò la tragedia. Il Tribunale militare tedesco di Orvieto diretto dagli ufficiali Winchler e Petzold e in collegamento con il comandante nazista di Perugia, Gehener, erano intenzionati a non condannare a morte il gruppo di partigiani e tantomeno Federico Cialfi, ma la pressione dei fascisti locali e degli ufficiali membri della Gnr tra cui Plinio Leggerini, Carlo e Alfonso Taddei, Adelio Salotti, Luigi Ficarelli, G.Battista Culmone, Marcello Martello, Libaldo Nencini, Girolamo Misciattelli, Amedeo Rampini, Sveno Troscia, Donato Bergamaschi, Vittorio Castelli, fu tale che il Comando tedesco accettò le loro richieste per una “punizione esemplare”. I nazisti, alla fine del processo, pur condannando a morte i partigiani, non vollero comunque assumersi la responsabilità della fucilazione alla quale doveva provvedere la milizia fascista.
E così avvenne che nel tardo pomeriggio del 29 marzo 1944 i sette antifascisti furono costretti a salire su un camion seguito dai soldati della Guardia nazionale repubblicana fascista e condotti in località Camorena e lì fucilati ad uno ad uno in una cava di ghiaia, mentre i familiari venivano trattenuti in carcere e malmenati.
L’eccidio era dunque stato compiuto per la ferma volontà dei rappresentanti del fascio locale che, forse in modo del tutto anomalo per quei tempi, avevano condizionato e contrastato le decisioni del Comando tedesco. E per voler dare un esempio ancora più significativo non risparmiarono nemmeno l’anziano Federico Cialfi che tra l’altro al momento dell’esecuzione fu colpito da un malore, ma venne ugualmente giustiziato.
La vicenda assunse un significato di così particolare conflitto interno alla città che, appena finita la guerra, si avviò l’istruzione del processo con 25 cittadini orvietani e non, imputati di diversi reati. Nel giugno del ’47 venne emessa la sentenza della Corte d’appello di Perugia e nel corso del processo emersero fatti e circostanze a testimonianza di una realtà sociale e politica in profondo conflitto al suo interno, con delazioni, ricatti e violenze, tipiche di una guerra civile e dove si evidenziarono le pesanti responsabilità dei dirigenti fascisti, presenti nella polizia e nell’esercito repubblichino. Ma la sentenza, emessa proprio in quei mesi della più intensa pacificazione nazionale, dichiarò di non doversi procedere nei confronti di nessuno degli imputati, per alcuni perché non poteva essere esercitata l’azione penale, per altri perché i reati erano estinti per amnistia e per altri ancora per non aver commesso il fatto. Emersero purtuttavia precise responsabilità penali, in particolare di Plinio Leggerini, Carlo e Alfonso Taddei, Marcello Martello, Girolamo Misciattelli, Adelio Salotti, Donato Bergamaschi, Vittorio Castelli. Ma non si ebbe nessun ulteriore processo, nel corso dei decenni successivi. L’eccidio venne nei fatti dimenticato sul piano giudiziario anche se l’Amministrazione Comunale di Orvieto e le organizzazioni partigiane ogni anno ne ricordano il tragico evento.
Oggi, non certo per vendetta, ma per amore di giustizia, di verità e di memoria, sarebbe opportuno ricostruire dettagliatamente la vicenda, sia sul piano storico che su quello giudiziario. La Magistratura, se vuole, ha i suoi strumenti per perseguire ancora i responsabili della fucilazione. Il gruppo Stornelli non si era macchiato di nessun delitto e non aveva compiuto alcuna azione armata, né contro i tedeschi, né contro i fascisti. Ma la furia ideologica e la violenza fascista prevalsero e una vicenda della più generale guerra di liberazione nazionale assunse, anche ad Orvieto, il carattere di un episodio di una vera e propria guerra civile.

Alberto Stramaccioni

il / Novembre a Terni presentazione "La Guerra ai Civili in Umbria




Umbria Libri presenta a Terni il Volume
La Guerra ai Civili in Umbria (1943-1944)
Per un Atlante delle stragi nazifasciste
di Angelo Bitti

venerdì 7 novembre 2008 alle ore 17,00
presso la sala Convegni dell'Archivio di Stato
Palazzo Mazzancolli
Via Cavour 28 TERNI

Intervengono
Marilena ROSSI
Fulvio PELLEGRINI
Mario TOSTI
Dianella GAGLIANI
Gabriella GRIBAUDI
sarà presente l'autore