lunedì 10 novembre 2008

Camorena un episodio di guerra civile - di Alberto Stramaccioni

dal gruppo ANPI di Face Book

Camorena un episodio di guerra civile
“Sette antifascisti fucilati dalla guardia nazionale repubblicana nel marzo 1944”

Molto spesso quando ci si riferisce agli eventi accaduti tra il 1943 e il 1945, per ricordare la guerra di liberazione nazionale dall’occupante nazista, si parla anche di una “guerra civile” che ci sarebbe stata tra italiani fascisti e italiani antifascisti. Ma altrettanto spesso non si ha ben chiaro che cosa sia realmente accaduto in quei lunghi e tragici mesi. La vicenda di Camorena di Orvieto dove, il 29 marzo del 1944, vengono fucilati sette antifascisti da un gruppo di soldati della Repubblica Sociale italiana di Benito Mussolini, è un classico esempio della guerra civile tra italiani.
Fino ad oggi questa vicenda non è stata sufficientemente approfondita nelle sue effettive dinamiche militari, politiche e sociali. Sette appartenenti alla cosiddetta “banda partigiana Stornelli” vennero arrestati e poi rapidamente processati e successivamente fucilati senza aver ucciso nessun soldato, né tedesco, né della Repubblica sociale italiana. E in più di fronte alla volontà tedesca di non procedere alla fucilazione, dopo il processo furono proprio i rappresentanti del fascio locale a volerne l’esecuzione capitale. Una vicenda che si può ben ricostruire solo nel clima di quei mesi e in una città in cui l’odio e il conflitto tra i tanti aderenti al fascio locale e i pochi antifascisti, o comunisti, o semplici renitenti alla leva raggiunse i livelli più esasperati.
La “banda Stornelli” che prendeva il nome dal suo comandante Ulderico, di 39 anni, già soldato in Libia, ma renitente perché richiamato al servizio militare dalla Rsi e di orientamento politico comunista, fu costituita nel dicembre ’43 e aveva la sua base operativa in una caverna vicino a Sermugnano, mentre del gruppo facevano parte alcuni uomini che volevano in particolare evitare la leva nell’esercito fascista. In quei mesi anche quella zona era occupata dai soldati tedeschi in ritirata e tra Baschi e Castiglione in Teverina i cannoni antiaerei avevano abbattuto alcuni quadrimotori dell’esercito angloamericano, mentre la maggior parte dei membri dell’equipaggio si era lanciata col paracadute ed era stata accolta, curata e alimentata dal gruppo di Stornelli. Inoltre alcuni soldati alleati con i quali il gruppo Stornelli prendeva contatto, venivano affidati alle diverse famiglie dei contadini della zona che li nascondevano.
L’attività di questo gruppo antifascista e antinazista era ben nota nella città di Orvieto dove in particolare viveva la famiglia Stornelli composta dalla moglie Arnalda Faustini e da tre figli, due femmine di 8 e 9 anni e un maschio di 14. Ulderico Stornelli era un falegname ebanista molto conosciuto nel paese e particolarmente osteggiato dai fascisti locali, che, pur di catturare lui e gli altri aderenti non mancarono di ricattare uno dei componenti del gruppo partigiano, Giovanni Nannarelli. Quest’ultimo prima venne costretto a tornare a casa attraverso le minacce alla madre di togliergli le tessere annonarie e poi lo costrinsero a rivelare la sede del nascondiglio della banda. Il gruppo Stornelli venne così arrestato e condotto a Palazzo Valentini, ad Orvieto, sede del Comando militare tedesco per il processo, nel corso del quale fu proprio il Nannarelli uno dei principali accusatori.
Dopo la cattura del gruppo Stornelli venne arrestato anche Federico Cialfi un proprietario terriero non più giovanissimo, considerato il sovvenzionatore della banda partigiana. A questo punto della vicenda nel contesto di una città occupata dai tedeschi e con una forte presenza della Guardia nazionale repubblicana fascista si consumò la tragedia. Il Tribunale militare tedesco di Orvieto diretto dagli ufficiali Winchler e Petzold e in collegamento con il comandante nazista di Perugia, Gehener, erano intenzionati a non condannare a morte il gruppo di partigiani e tantomeno Federico Cialfi, ma la pressione dei fascisti locali e degli ufficiali membri della Gnr tra cui Plinio Leggerini, Carlo e Alfonso Taddei, Adelio Salotti, Luigi Ficarelli, G.Battista Culmone, Marcello Martello, Libaldo Nencini, Girolamo Misciattelli, Amedeo Rampini, Sveno Troscia, Donato Bergamaschi, Vittorio Castelli, fu tale che il Comando tedesco accettò le loro richieste per una “punizione esemplare”. I nazisti, alla fine del processo, pur condannando a morte i partigiani, non vollero comunque assumersi la responsabilità della fucilazione alla quale doveva provvedere la milizia fascista.
E così avvenne che nel tardo pomeriggio del 29 marzo 1944 i sette antifascisti furono costretti a salire su un camion seguito dai soldati della Guardia nazionale repubblicana fascista e condotti in località Camorena e lì fucilati ad uno ad uno in una cava di ghiaia, mentre i familiari venivano trattenuti in carcere e malmenati.
L’eccidio era dunque stato compiuto per la ferma volontà dei rappresentanti del fascio locale che, forse in modo del tutto anomalo per quei tempi, avevano condizionato e contrastato le decisioni del Comando tedesco. E per voler dare un esempio ancora più significativo non risparmiarono nemmeno l’anziano Federico Cialfi che tra l’altro al momento dell’esecuzione fu colpito da un malore, ma venne ugualmente giustiziato.
La vicenda assunse un significato di così particolare conflitto interno alla città che, appena finita la guerra, si avviò l’istruzione del processo con 25 cittadini orvietani e non, imputati di diversi reati. Nel giugno del ’47 venne emessa la sentenza della Corte d’appello di Perugia e nel corso del processo emersero fatti e circostanze a testimonianza di una realtà sociale e politica in profondo conflitto al suo interno, con delazioni, ricatti e violenze, tipiche di una guerra civile e dove si evidenziarono le pesanti responsabilità dei dirigenti fascisti, presenti nella polizia e nell’esercito repubblichino. Ma la sentenza, emessa proprio in quei mesi della più intensa pacificazione nazionale, dichiarò di non doversi procedere nei confronti di nessuno degli imputati, per alcuni perché non poteva essere esercitata l’azione penale, per altri perché i reati erano estinti per amnistia e per altri ancora per non aver commesso il fatto. Emersero purtuttavia precise responsabilità penali, in particolare di Plinio Leggerini, Carlo e Alfonso Taddei, Marcello Martello, Girolamo Misciattelli, Adelio Salotti, Donato Bergamaschi, Vittorio Castelli. Ma non si ebbe nessun ulteriore processo, nel corso dei decenni successivi. L’eccidio venne nei fatti dimenticato sul piano giudiziario anche se l’Amministrazione Comunale di Orvieto e le organizzazioni partigiane ogni anno ne ricordano il tragico evento.
Oggi, non certo per vendetta, ma per amore di giustizia, di verità e di memoria, sarebbe opportuno ricostruire dettagliatamente la vicenda, sia sul piano storico che su quello giudiziario. La Magistratura, se vuole, ha i suoi strumenti per perseguire ancora i responsabili della fucilazione. Il gruppo Stornelli non si era macchiato di nessun delitto e non aveva compiuto alcuna azione armata, né contro i tedeschi, né contro i fascisti. Ma la furia ideologica e la violenza fascista prevalsero e una vicenda della più generale guerra di liberazione nazionale assunse, anche ad Orvieto, il carattere di un episodio di una vera e propria guerra civile.

Alberto Stramaccioni

3 commenti:

Antonino La Rosa ha detto...

Conosco i luoghi ed ho conosciuto persone dell' una e dell' altra parte direttamente coinvolte nei fatti. Camorena rimane un' esempio del clima in cui si svolsero vicende che devono essere perfettamente contestualizzate.Quella che ho letto in questa NOTA e in quella di ALBERTO STRAMACCIONI è la versione di una sola parte.Persone che vissero quei ... Mostra tuttogiorni e quegli accadimenti raccontano diversamente da quanto riferiscono le risultanze cosidette "ufficiali" i fatti e i comportamenti di molti dei protagonisti.
Conosco molto bene Orvieto per averci vissuto molti anni ed ho molte testimonianze dirette di familiari e amici che vissero da protagonisti quei giorni tristi per tutti.

Elena ha detto...

Forse hai conosciuto luoghi e persone ma io, a causa "del clima in cui si svolsero le vicende" non ho mai potuto conoscere il mio bisnonno, Federico Cialfi.
La bambina cui si riferiva Federico nelle sue ultime parole era mia madre.
Io, ad Orvieto ci sono nata, e le testimonianze che ho sono della mia famiglia, che quegli eventi ha vissuto direttamente.
E, purtroppo, ho anche gli atti del "processo". Più diretto di così...
Non apprezzo di decide di contestualizzare al fine di dare la colpa al clima. La colpa è di chi si assume la responsabilità di un eccidio e, in quel caso, la colpa era dei fascisti.

Antonino La Rosa ha detto...

Per potere rispondere compiutamente dovrei conoscere chi sei effettivamente.Essere bisnipote del Conte Cialfi non significa conoscere bene le persone e gli accadimenti. Ad esempio, dei due fratelli Taddei, uno era - allora- rinchiuso in un campo di concentramento e l' altro aveva solo la funzione di interprete per la sua conoscenza della lingua tedesca in quanto diplomatico. Tu sei figlia di Barbara Muzi e nipote di Giovanna Cialfi e Corrado Muzi?